ChatGPT sorvegliato speciale: una sentenza obbliga OpenAI a conservare tutte le chat degli utenti

La privacy digitale è ufficialmente sotto assedio. Una sentenza storica emessa il 13 maggio dal giudice federale Ona T. Wang impone a OpenAI di conservare permanentemente ogni interazione con ChatGPT, anche se l’utente ha scelto di eliminarla. Una decisione che ha sollevato un’ondata di indignazione da parte di esperti, utenti e difensori dei diritti digitali.
Tutto ciò che scrivi a ChatGPT… resterà
Secondo l’ordinanza del tribunale di New York, OpenAI deve “separare e conservare tutti i log di output” di ChatGPT, a prescindere dalle impostazioni di eliminazione attivate dagli utenti. Questo vincolo nasce da una causa intentata dal New York Times e altre organizzazioni, che accusano OpenAI di aver violato il copyright utilizzando contenuti protetti per addestrare l’IA. L’argomento dei querelanti? Che senza traccia delle chat, potrebbero andare perse prove utili per dimostrare l’uso illegale di contenuti a pagamento.
Ma per OpenAI questa sentenza è un colpo basso. “Cancella il potere decisionale degli utenti“, ha affermato il COO Brad Lightcap, sottolineando come milioni di persone si affidino a ChatGPT per discussioni private, brainstorming professionali, domande mediche o psicologiche. Rendere eterni tutti i log, comprese le chat temporanee, significa tradire ogni promessa fatta in materia di riservatezza.
Privacy contro copyright: lo scontro si accende
La decisione ha gettato benzina su un dibattito che da mesi divampa attorno all’intelligenza artificiale: quanto possono spingersi le aziende nella raccolta e conservazione dei dati?
Il caso tocca una questione delicata: la presunta malafede degli utenti. Il giudice Wang ha suggerito che alcuni potrebbero cancellare le conversazioni per nascondere violazioni di copyright. Ma OpenAI ribatte duramente: “Non c’è nessuna prova che le chat eliminate siano state usate per aggirare paywall o infrangere la legge”.

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Reazioni a catena e rischi legali
L’impatto pratico? Gli utenti non possono più fidarsi delle funzioni di eliminazione chat o dei “messaggi temporanei”. Le aziende che utilizzano l’API di OpenAI vedono congelati i dati per ordine giudiziario, con il rischio di esposizione anche di informazioni critiche.
Professionisti della sicurezza IT lanciano l’allarme su LinkedIn e X: “È un incubo per la sicurezza”, “L’idea che una mia chat sulla salute mentale resti nei server è terrificante”.
E il precedente è pericoloso. Se i tribunali obbligano le aziende a ignorare le scelte degli utenti, la fiducia nei servizi digitali potrebbe crollare. Lo conferma Katie Brewster dell’Electronic Frontier Foundation: “Non è solo ChatGPT. È in gioco l’intera autonomia digitale”.
Una frattura che scuote l’industria
Nel frattempo, l’UE si prepara a regolamentare il diritto all’opt-out con la nuova legge sull’IA, mentre negli Stati Uniti cresce il timore che il copyright aziendale stia prevalendo sulla privacy individuale.
E a peggiorare il quadro c’è anche una class action da 63 miliardi di dollari che accusa OpenAI di aver “raschiato tutto l’internet” senza consenso. Una causa distinta, ma che rafforza la sensazione che l’intelligenza artificiale stia divorando dati senza limiti.
Il futuro della privacy? Appeso a un ricorso
OpenAI ha già annunciato ricorso, ma fino ad allora ogni chat inviata potrebbe restare per sempre nei server. Una verità che stravolge la percezione di ChatGPT: da assistente personale… a registratore permanente.
Per milioni di utenti, la fiducia è ora in bilico. E per l’industria tech, il messaggio è chiaro: senza privacy, l’IA perde il suo lato umano.
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